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mercoledì 11 maggio 2011

_ IL CLIENTE_

PARTNERSHIP
Intervista alla Dott. In psicologia Federica Caccioppola
Dopo aver contattato vari centri di recupero ed associazioni per i disabili, la scelta del cliente è “caduta” sulla dottoressa in Psicologia Federica Caccioppola.
La dottoressa si è da subito mostrata molto interessata al tema e alla modalità con cui questo gli è stato proposto.
Le prime proposte sull'organizzazione planimetrica del complesso Mixitè richiamano subito la sua attenzione, le ampie vetrate, i volumi che si sovrappongono, il contatto intenso con la natura colpiscono piacevolmente la dottoressa.
Richiamo subito l'attenzione sulle attività di recupero che intendevo proporre all'interno del centro (non essendo io esperta nel campo); difronte a queste domande, la dottoressa mi appoggia e propone attività manuali come la ceramica, la lavorazione del legno, la pittura (mi parla di alcuni centri in Macedonia dove venivano prodotte dai disabili delle mattonelle in ceramica su cui venivano poi applicate delle foto e immagini); mentre esclude il laboratorio di fotografia poiché lo ritiene  troppo complesso per il tipo di disabilità di cui si occupa il centro,e la proposta di un cinema interno che isolerebbe troppo i ragazzi attraverso la creazione di un ambiente troppo chiuso e indipendente. In alternativa però mi propone l'inserimento di una piscina (come attività fisica molto utile)e di un laboratorio di teatro, considerando la teatroterapia come un mezzo che faciliti l'inclusione e lo scambio tra i vari ragazzi.
Quando le espongo il concetto di Mixitè e la presenza di una zona Exchange, la dottoressa rimane anche qui positivamente colpita: A sua conoscenza non ci sono centri in cui sia possibile anche la vendita di prodotti; La proposta di uno spazio commerciale è molto buona ma è necessario che questo ambiente sia ben separato dal centro stesso in cui vivono i ragazzi per evitare la confusione e anche possibili fughe.
Arriviamo poi a parlare della zona Living: mi propone di non inserire più di 10 /15 ragazzi per lasciargli gli spazi necessari e poiché è quasi sempre necessario 1 operatore per ogni disabile;inoltre mi suggerisce di dedicare alla residenza i volumi all'ultimo piano.
Si decide poi di dedicare il centro a ragazzi sopra i 18anni e che presentano ritardi lievi perché anche la dottoressa mi pone difronte al seguente problema: spesso i ragazzi affetti da lievi ritardi, una volta terminata la scuola, non trovano lavoro o, ben più grave,non hanno più modo di socializzare e integrarsi con i ragazzi normodotati; capita spesso che siano le famiglie stesse a richiedere alle scuole che i loro figli vengano bocciati cosi che possano tenerli li il più tempo possibile.
La presenza di una zona Living ci stimola a raggiungere un nuovo obiettivo: creare un centro che sia un giusto intermedio tra i centri diurni ( che propongono attività giornaliere ma che poi vedono i ragazzi tornare nelle loro famiglie dove spesso sono ovattati e “legati”) e le case famiglia che si presentano chiuse verso il pubblico, centro in cui anche per le famiglie è difficile andare a trovare i loro figli.
Il giusto punto di incontro tra le due tipologie ci fa arrivare al nostro centro Disability becomes Ability.
La dottoressa mi propone percorsi ciclici per i ragazzi, cioè la presenza di un ricambio tra i giovani che vengono accolti nel centro: questi ragazzi saranno accolti per un periodo limitato durante il quale verranno abilitati a svolgere attività, lavori, o semplicemente verraono aiutati all'integrazione; al termine di questo ciclo i ragazzi sono liberi di decidere di tornare a casa, andare in altri centri, o rimanere all'interno del nostro centro come aiuto operatore e assistente di nuovi disabili pronti per essere accolti.
L'attenzione della dottoressa va poi sulle barriere architettoniche: è fondamentale che io tenga conto di questo durante la mia progettazione:mi spinge ad abolire ogni tipo di barriera.
Per quanto riguarda i ragazzi accolti, lei mi propone di non avere limiti nell'accettazione di disabilità, purché sia lieve; ma mi propone di cercare di avere una composizione per lo più eterogenea cosi che l'interscambio tra disabili sia migliore e più ricco.
Per ultimo la dottoressa ribatte con forza il Bisogno, la Necessita di nuovi centri di inclusione ed abilitazione per i disabili che siano la giusta via di mezzo tra i già esistenti centri diurni e le case famiglia; un centro che sia residenziale, ma non a vita, che formi il ragazzo ma che non lo limiti a vivere per sempre in quel contesto; recuperare ragazzi con lievi ritardi che rischiano, una volta usciti dalle scuole, di non avere più possibilità di interazione e di crescita.
Al termine della lunga conversazione la dottoressa mi ha riproposto il suo appoggio e il suo aiuto nel corso dell'avanzamento del progetto.

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